Essere soli. Esplorare il vuoto interiore

Sentirsi interiormente soli, anche se si hanno molte relazioni sociali, sembra essere una condizione sempre più diffusa.

Vorrei portare l’attenzione su un tipo speciale di solitudine: il sentirsi soli rispetto a se stessi.

Questa nasce a mio avviso quando si è rinunciato a parti importanti del proprio sé, si è mutilata la propria personalità in funzione di un io che ha privilegiato l’adattamento alle richieste dell’ambiente.

In questo caso è la relazione con se stessi a presentare delle importanti carenze

Si sperimenta un senso di impoverimento del proprio sé, con il quale non si riesce a stare in contatto in modo soddisfacente, né a comunicare autenticamente.

Avendo abbandonato alcune parti di sé, (il bambino libero, la parte creativa, il poter sentire alcune emozioni, le aspirazioni profonde) ci rende più soli internamente, più poveri.

Questo processo mina alle fondamenta anche la fiducia in noi stessi, perché in un certo senso ci siamo abbandonati, o ci sentiamo come se in qualche modo ci fossimo traditi da soli.

Il nostro Sé profondo o anima se vogliamo, vive come tradimento la sua nemesi, il fatto che la personalità lo dimentichi o faccia finta che non esista, vivendo scollegata da lui.

E la personalità così costruita in modo carente sente la mancanza del legame coni qualcosa di essenziale con una fonte di nutrimento originaria da cui attingere e da cui prendere forma.

E’ come sentire che in qualche modo non si può fare completo affidamento su di sé perché si sono costruiti dei vuoti, delle carenze.
Comunicare con sé stessi diventa un’esperienza dolorosa, come cercare di entrare in contatto con un assenza con un vuoto interiore, con la traccia di qualcosa che è stato.

Questo tipo di solitudine è molto difficile da tollerare perché la persona non riesce a stare con se stessa ad incontrarsi senza sentire disagio vuoto, ostilità incompletezza. Difficilmente chi la sperimenta diventerà un meditante.

Un meccanismo di fuga infatti consiste proprio nel ricercare ossessivamente la compagnia dell’esterno, l’appoggiarsi agli altri che sfocia spesso nella dipendenza emotiva.

Queste relazioni però difficilmente si rivelano appaganti in quanto fondamentalmente inautentiche, in quanto ciò che manca nel sé mancherà anche nella relazione o verrà ricercato compulsivamente nell’altro.

L’uscita da questo stato implica un lavoro su se stessi teso a recuperare e a rivitalizzare gli aspetti che al proprio interno si sono atrofizzati, attraverso la riscoperta della creatività, il gioco, la meditazione, la comunicazione autentica, la relazione, la bellezza.

Allo stesso tempo è necessario entrare in contatto con questo senso di vuoto interno, anche se doloroso, smettere di evitarlo, e disporsi ad attraversarlo.

Le pratiche intuitive e simboliche del counseling espressivo, il risveglio del corpo attraverso le diverse pratiche di movimento corporeo possono costituire dei validi percorsi per ritrovare parti di noi perdute sopite o dimenticate.

Si può riscoprire una ricchezza interiore di cui non si era consapevoli, e iniziare anche a percepire e ricercare la solitudine come un’opportunità di ascolto, autoconoscenza e crescita.

Da questo processo, da questa maggiore pienezza interiore, anche le relazioni non possono che risultare arricchite e rivitalizzate.

il Podcast “Counseling per vivere meglio” ascolta i primi due episodi!

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E’ il passato o il presente a condizionarci di più?

Spesso pensiamo che sia il passato a condizionarci.

Questa però se ci riflettiamo bene è una convinzione che nutriamo nel presente.
Potremmo dire perciò che non è tanto il nostro passato a condizionarci, quanto le storie che ci raccontiamo sul nostro passato.

E’ il modo con cui viviamo oggi ciò che sappiamo del passato, a influenzarci.

Questo sapere è anche un sapere “immagazzinato” nel corpo, che viene vissuto attualmente come tono affettivo-muscolare, modi caratteristici di muoversi e di respirare, tensioni o aree ipoenergetiche, umore di base.

Queste storie che ci raccontiamo, che spesso il corpo stesso racconta, è nel presente che vengono tessute ed elaborate, ricordate ed esperite.

Quindi può rivelarsi molto più utile disporsi in un assetto mentale in cui riconosciamo che è ciò che oggi facciamo e continuiamo a fare, ad influenzarci.


Anche ciò che pensiamo di sapere del nostro passato dunque, è una costruzione che teniamo viva nell’oggi.

Il nostro passato infatti non è mai un fatto oggettivo, ma è sempre una ricostruzione, a volte cosciente a volte meno, una rielaborazione che a diversi stadi della vita il nostro corpo-mente compie.

Ciò che ancora di più è singolare e interessante è che queste storie, queste narrazioni, spesso sono lasciate un po’ al caso; le tessiamo quando siamo di cattivo umore, ci facciamo facilmente influenzare dalle opinioni altrui, o si generano un po’ automaticamente attraverso il rimuginare della mente.
Spesso se ci facciamo caso, ci rendiamo conto che non siamo noi a generare le storie, ma sono le storie a generare in qualche modo il nostro io.

Quindi sembra che sia molto importante decidere in modo autonomo deliberato e cosciente, quali storie vogliamo narrare e come lo vogliamo fare, dove vogliamo che ci portino.

Le storie che ci narriamo automaticamente, attraverso schemi condizionati, hanno un carattere depotenziante, consumano le nostre risorse, tendono ad essere ripetitive e stantie.

Anche se alcuni atteggiamenti hanno un’origine lontana, è nell’oggi che si manifestano ed operano secondo modalità specifiche e individuabili

Quindi ciò che sembra importante è il come oggi nel presente scegliamo coscientemente di narrare la nostra identità, i nostri passi le nostre esperienze fondamentali.
Soprattutto è importante coltivare una prospettiva che partendo dal presente apra un senso di fiducia nel “dopo”, nel dove vogliamo che la nostra storia ci porti, nella direzione che possiamo prospettare.

Questo modo di guardare ai diversi eventi della vita, è radicato nel qui e ora, ed appartiene pienamente all’ambito di competenza del counseling, in quanto non punta a rivivere esperienze del lontano passato per risolverle, ma sceglie oggi modi nuovi di raccontare e narrare esperienze che ruotano sempre intorno all’asse del presente.
Un presente allargato che raccoglie stimoli da altri momenti della vita, e li unifica nel qui e ora, in una nuova e viva narrazione.

Inoltre nel percorso di counseling, si lavora su come oggi quei meccanismi condizionanti operano, ed è portando sul loro processo una consapevolezza rinnovata che si possono attivare scelte differenti.

L’esperienza artistica, la creatività come viene utilizzata nel counseling espressivo, o artcounseling permette di ri-narrare il nostro sé in forme sempre diverse, nuove, dinamiche.

 La creatività in ogni sua forma, attinge all’energia del cambiamento, della trasformazione, del permettersi di cambiare strada e di agire fuori dagli schemi consueti, rimanendo in contatto anche con l’imbarazzo, il disagio, il vuoto, l’insicurezza, trasformandoli in risorse.

Il setting di un Art Counselor, fornisce un ambiente contenitivo a tutte queste difficili emozioni, un contesto per esplorarle e trasformarle creativamente. Così attraverso l‘arte e il fare creativo, creiamo nuove storie nel presente che vanno a costruire il processo del nostro sé in maniera fluida e personale. Ciò che si sperimenta solitamente è un grande senso di potere personale, la capacità di riuscire, di poter fare, poter essere, e poter decidere sulla propria vita attingendo ad uno spettro di risorse sempre più ampio.