La spiritualità e suoi fraintendimenti

spiritualità del corpo

In molto ambienti spirituali, e oggi spesso anche sui social, si sentono pronunciare frasi del tipo “io sono uno con tutto”, “tutto è perfetto così com’è”, “siamo venuti su questa terra con uno scopo da realizzare”, “ogni evento della vita ci trasmette una lezione che dobbiamo imparare” ecc..

Molte volte ascoltandole rimango piuttosto perplesso, perché di certo si tratta di cose che riconosco come vere, ma allo stesso tempo suonano false e artefatte, sanno di “new age”…come mai?

Nel libro “Niente di speciale “ Joko Beck, insegnante zen, parla anche di questo, spiegando in modo molto efficace perché queste frasi, se non corrispondono ad un effettiva esperienza, siano un ostacolo al cammino spirituale, piuttosto che rappresentarne un compimento.

“Se ci fermiamo qui abbiamo trasformato la pratica in un esercizio concettuale”

Possiamo infatti apparentemente nutrirci di grandi verità mentre la nostra esperienza reale, i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri comportamenti, vanno in tutt’altra direzione.

Cos’è che fa la differenza tra una pratica reale ed una sua imitazione o fraintendimento?

“se pronunciamo queste frasi senza la componente fisica dell’esperienza, non sapremo che cos’è la vera pratica.”

Senza una pratica costante (vipassana, zazen, yoga, danza, o altro) che ci metta costantemente in contatto con la componente fisica e sensoriale dell’esperienza, è difficile che queste verità possano diventare davvero reali ed operanti al nostro interno.

“Se possiamo stare con il dolore come pura sensazione fisica, a un certo punto il dolore si dissolve. Allora entriamo nella verità, ovvero che tutto è perfetto cos’ com’è.”

In secondo luogo, dunque è la disponibilità a stare con l’esperienza così com’è in ogni istante, oltrepassando la sfera concettuale, e soprattutto la disponibilità a stare con lo spiacevole e il doloroso.

Ma solo allora entriamo nella verità, non prima.

La mia impressione è che spesso pretendiamo di arrivarci senza quello stare in contatto con il dolore, senza stare pazientemente in intimità con le sensazioni spiacevoli, la noia, la tristezza, come esperienze corporee. Spesso sembra che rifugiarsi in queste verità, in modo astratto e concettuale, sia un modo per bypassare le esperienze difficili e sgradevoli, per non includerle nella vita. Naturalmente è utile vedere questo meccanismo all’opera in noi, e non solo credere che siano gli altri a metterlo in atto.

Sintetizzando secondo lo schema della Beck, possiamo individuare tre fasi o componenti della pratica, che nascono quando iniziamo ad uscire dal predominio della concettualizzazione:

  1. SPERIMENTARE SENSORIALMENTE LA VITA

  2. DISPONIBILITA’ A STARE CON LO SPIACEVOLE E IL DOLORE

  3. ACCESSO ALLA “VERITA’”

Verità intesa come comprensione diretta, intuitiva, di come stanno le cose, saggezza che diventa gradualmente operante in noi.

“Solo entrando nel livello esperienziale la vita acquista significato”

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